Medea. Voci. | Christa Wolf

Titolo: Medea. Voci.
Autore: Christa Wolf
Cenni sull’autore:  Nata nell’attuale Polonia, trascorse l’infanzia sotto il nazismo ma alla fine della seconda guerra mondiale si ritrovò insieme alla sua famiglia, protestante e di origini modeste, nella Germania dell’Est. Laureata in germanistica all’università di Jena negli anni ’50 sposò lo scrittore  Gerhard Wolf e nel ’62 iniziò a lavorare come critica letteraria presso la rivista dell’unione degli scrittori della Ddr. Raggiunse la notorietà l’anno successivo con il romanzo Il cielo diviso, in cui narrava l’amore al di qua e al di là del Muro. Quegli anni, spiegò poi, furono i più duri perché coincisero con la presa di coscienza che la Ddr non era un’alternativa al nazionalsocialismo, non era ciò che lei e i suoi amici avevano sperato. Divenne sospetta al regime, spiata e intercettata. A pochi mesi dalla fine del comunismo pubblicò un breve testo, Che cosa resta,  che parlava di una scrittrice famosa, sorvegliata dalla Stasi. Le si ritorse contro: accusata di opportunismo, si disse che voleva presentare se stessa come vittima denunciando tardivamente il regime. Divenne persona non gradita. Anche perché, solo dopo la caduta del Muro, lasciò la Germania per gli Stati Uniti, accettando una borsa di studio di nove mesi della fondazione Getty a Los Angeles. Per i suoi detrattori era una fuga, dettata dalla scoperta di un dossier in cui si accertava la sua collaborazione con la polizia segreta tra il 1959 e il 1962.[continua a leggere]
Traduzione: Anita Raja
Edizione: E/O
Pagine: 196
Costo: € 10.00
Consigliato: Sì.

 

Medea è una delle figure femminili più famose di tutti i tempi. La sua storia è stata raccontata da molte fonti, ma certamente il nome che oggi è più facile veder associato al suo è quello di Euripide. “La Medea di Euripide”, si dice. La sua trasposizione tragica ha infatti di un’enorme fama che ha trasportato la strega della Colchide dalla Grecia a Roma e ancora fino a noi, e come spesso accade in queste occasioni, la sua versione è diventata la versione. Medea è un’infanticida, una carnefice che nel nome dell’amore di Giasone ha ucciso. Nella sua tragedia Euripide mette in scena la donna nel suo lato più oscuro, una femmina-maga la cui perfidia si mostra senza riserbo nel momento in cui il suo orgoglio e i suoi sentimenti vengono feriti.

Ma Christa Wolf, indagando e ripercorrendo la storia del mito di Medea fino alle origini, lo ha riportato alla luce nella sua veste pre-euripidea: «Una donna proveniente da una cultura matriarcale non avrebbe mai ucciso i suoi figli» dice la Wolf. «[…] Fu un momento straordinario».

Così Medea non ha più le mani macchiate di sangue. Non è responsabile né della morte del fratello, né di Glauce, né dei figli. È spettatrice, suo malgrado, della bestialità altrui e dell’ignoranza superstiziosa dei Corinzi – che simboleggiano la civiltà, contrapposti alla Colchide, qualcosa di simile a uno stato di natura – che la ritengono causa delle loro sventure nonostante lei si sia sempre impegnata a curarli, offrire loro i suoi consigli e i suoi medicamenti. Non riuscirà mai a integrarsi a Corinto, rimarrà sempre un corpo estraneo nel ventre di questa città malata, e per spiegarlo basta l’immagine della sua “casetta d’argilla”, che sta “incollata di spalle alle mura del palazzo come un nido d’uccello”.  Il fulcro di Corinto l’ha rigettata, senza tuttavia espellerla. E così lei vivrà, senza mai capitolare, fiera e ardente nella sua vitalità primitiva e apparentemente inestinguibile.

Questo è il fulcro della narrazione a più voci della Wolf, in cui la figura di Medea è raccontata in ogni capitolo da un personaggio diverso: il tema dell’estraneità. Medea osserva il mondo occidentale senza comprenderlo, proprio lei che da sempre ha avuto una sorta di potere, la “seconda vista”, che le permette di cogliere la verità delle cose e di capire le persone come una specie di primitiva empatia. Guarda Corinto e cosa vede? Una città in cui le monete correnti sono la gloria, la fama, la brama di potere – non capisce come si possa vivere in un simile mondo, ella stessa ci sta stretta, vi sgomita, vorrebbe andarsene ma non può per tante ragioni.

Stranieri a Corinto non sono però solo Medea e i Colchi, ma anche gli stessi corinzi, prigionieri inconsapevoli della loro città, pronti a scagliarsi contro l’Intrusa perché così dice loro il sovrano, che non vede l’ora di liberarsi di quella spina nel fianco. A nessuno importa che non ci siano prove della sua colpevolezza, basta presentarla come causa delle sventure di Corinto: la siccità, la carestia, il terremoto e infine la peste. “Imparai che non c’è menzogna troppo grossa a cui la gente non creda, se essa viene incontro al suo segreto desiderio di crederci”. I rapporti sono basati sulla sfiducia, sul tentativo di prevaricazione, e Giasone non fa eccezione. Se è stato un eroe al tempo degli Argonauti ora non lo è più, esattamente come la nave che ha trasportato il vello d’oro ora giace arenata, abbandonata dalla gloria.

Chi possiede il dono di elevarsi sopra le cose, di vederle nella loro vera luce, è destinato a essere preso di mira, perché, come si legge, gli uomini hanno sempre bisogno di un capo espiatorio, perché un solo bersaglio è più facile da abbattere. Così riflette Medea: “Su questo disco che chiamiamo terra non esistono più, mio caro fratello, altro che vincitori e vittime”. E ancora, alla fine: “Che cosa mi resta? […] E’ pensabile un mondo, un tempo, in cui io possa stare bene?Qui non c’è nessuno a cui lo possa chiedere. E questa è la risposta”.

La scrittura di Wolf è unica nel suo genere – toccante, impetuosa, a volte sembra inarcarsi come la pelle sotto un brivido, e se a volte ci si perde è più che perdonabile – ed è riuscita a mio parere a riportare in superficie una versione del mito pressoché sconosciuta, una donna dalla dignità immensa messa in ombra da una maga. Ciò non toglie naturalmente bellezza alla versione euripidea, straordinaria nel suo potere di scendere in fondo al cuore umano, là dove i sentimenti sono ancora indifferenziati, mescolati l’uno nell’altro.

Io non ho ancora fatto la mia scelta. Bisogna proprio farla? Forse, a distanza di secoli, queste due Medee possono coesistere. Quale sia più vera, quale più autentica, a voi decidere.

Chiara Sandretto 

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